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A mani giunte. (Carlo Betocchi)

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Me l’hanno “regalata” ieri.
L’ho trovata straordinaria. E’ vero che il bello fa il bene dell’uomo.

di Carlo Betocchi, Poesie del sabato, Garzanti 1996.

 

“A mani giunte”

(....) 

I
Ha detto: "Io sono quello che sono"
e tu non temere mai nulla: poiché,
se tu credi, non sarà la tua esistenza,
ma sua: né sarà mai protetta, tuttavia,
come tu speri e credi: anzi gettata
nelle fosse. Chi crede in Dio
si appresti ad essere l'ultimo
dei salvati, ma sulla croce, ed a bere
tutta l'amarezza dell'abbandono.
Poiché Dio è quello che è.


II

«Ma si è già nel Vangelo quando
non se ne può più uscire:
e vi si è ancora quando,
stanati dalle mura della sua Chiesa
per impossibilità di restarvi,
allora il Vangelo ci insegue
come il veltro la preda agognata».


III

Fra te e la salvezza non
altre vie che quelle segnate
dal Vangelo; ma in quelle che vedi
vanno, fra sciami d’innocenti,
turbe d’ignavi e d’ipocriti.
E dunque fra te e il Vangelo
non c’è altro che il nasconderti
dentro e sotto di Lui come gramigna
nel suolo, a far speco terroso
in cui si realizza, come si può,
quel che non esiste che nei fatti:
qui in terra, e nella carità.

IV 

L'anima è forse un concetto? Poiché se troppo
credi ed apprezzi di averla, e la godi per te,
tu la svuoti; ma se per pietà d'altrui,
o delle cose, mentre pensi di non averla
in te la rivendica la tua pietà d'esser
pari al bisogno, tu darai forma a quella
che, faticosamente, sarà l'anima di tutti:
uomini e sassi, ed animali e piante.


V

No, non temere mai nulla da Dio. E intanto
respira nel coro di quantunque respira
la certezza che non c'è differenza tra vita
e non vita, poiché nel cosmo non c'è altro
che vita, ed ogni apparenza di morte non è,
nell'esistere, che un confidare la carità
del vissuto a ciò che sempre vivrà.

Archiviato in:Botteghe d'altri, Lettere

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